FEDRA

Sabato, 31 luglio, Teatro Antico, ore 19.15                          ProgettoSEGESTA 

Repliche 1,4 e 8 agosto, Teatro Antico, ore 19.15

FEDRA PRIMA NAZIONALE

Seneca

Traduzione di Maurizio Bettini 

Regia 

Manuel Giliberti

Con

Viola Graziosi (Fedra) e Graziano Piazza (Teseo)

e con 

Deborah Lentini (Nutrice), Riccardo Livermore (Ippolito), Liborio Natali (Corifeo/messaggero)

Musiche

Antonio di Pofi

Note:

Quando Fedra osa finalmente dichiarare il suo amore per Ippolito, il figlio di suo marito Teseo, c’è sempre qualcuno che inorridisce. Ecco le parole della nutrice nell’Ippolito di Euripide: «Ohimè, che dici figlia! Tu mi uccidi. O donne, non vivrò per sopportare ciò che non è sopportabile. O giorno odioso, o luce odiosa che io vedo. Precipiterò, scaglierò giù il mio corpo, con la morte mi libererò della vita». Ed ecco quelle di Oenone nella Phèdre di Racine: «Oh cielo, nelle vene il mio sangue si raggela! Disperazione! Infamia! Deplorevole razza!». L’amore di Fedra provoca orrore: l’orrore dell’incesto. Ma cosa sta facendo, Fedra, di così grave? 

La nutrice poi apre davanti a noi uno spiraglio inatteso su un antico sistema di credenze ‘biologiche’ secondo il quale una donna può concepire non da un solo uomo, ma, contemporaneamente, anche da due: e in questo modo ci svela finalmente il mistero della colpa di Fedra. La «confusione» che, secondo la vecchia, si verrebbe a creare nel grembo di Fedra sarebbe ovviamente quella fra il seme del padre e quello del figlio, Teseo e Ippolito, di cui Fedra si appresta a «mescolare» i letti. Che prole potrebbe mai sorgere, se non mostruosa, da una mescolanza fra il seme di un padre e quello di un figlio? Quasi che non una matrigna e un figliastro, ma direttamente un padre e un figlio – complice un «grembo» femminile – si fossero uniti in un incesto inaudito. Con queste poche parole della nutrice, il testo della Fedra raggiunge dunque il massimo della tensione drammatica e, insieme, quello della mostruosità biologica. È come se dall’interno del «grembo» di Fedra, osservato con tanta spietatezza, si sviluppasse una spaventosa forza di orrore, una tenebra ancor più fosca e maligna di quella che ha accecato Teseo durante il suo lungo esilio nei regni dell’Ade. Del resto questo è il teatro di Seneca: empietà, orrore, nefas, per lui la natura e l’umana società esistono solo quando sono sconvolte. All’altro polo di questa torbida vicenda stanno i regni di Artemide, la dea delle solitudini, quella natura pura e selvaggia in cui Ippolito, il cacciatore casto, ma non per questo meno colpevole di Fedra, esercita l’arte di cui è maestro. Ma nelle tragedie senecane la purezza, quando c’è, è lì solo per essere insozzata. E con altro orrore, alla fine della tragedia, lo spettatore vivrà la scena del mostro – stavolta una ‘vera’ creatura mostruosa – che sparge di viscere e sangue umano anche la più deserta delle solitudini.

Spettacolo creato in esclusiva per Dionisiache 

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